“La rivoluzione di De Laurentiis. Quando lo scudetto è di tutti”
NAPOLI. Il quarto potere esiste, è in questa terra di qualcuno che ora sprigiona gioia da ogni solco, è nella nuova frontiera che disegna un calcio insospettabile, è in una dimensione onirica che sa di favola: Napoli è tornata e l’ha fatto più in fretta di quanto si sospettasse, impiegando due anni appena dall’ultimo scudetto e spiegando al soccer italiano che dentro parole apparentemente vuote, per esempio Progetto, c’è un’Concept rivoluzionaria che da ventuno anni sta lì e germoglia come una «bougainvillea».
Napoli, l’arrivo del pullman della squadra al Maradona: i cori e i fumogeni che lo nascondono
Napoli campione d’Italia, e chi l’avrebbe detto nell’property scorsa o anche dopo la prima di campionato, 3-0 per il Verona e le crepe di quel decimo posto dilatate a dismisura: ma poi, e gli va riconosciuto, De Laurentiis ha infilato la mano nel portafoglio e come per magia ha tirato fuori Lukaku e McTominay, da aggiungere a Neres, Buongiorno e Gilmour, per una spesa folle da 150 milioni di euro da affidare all’insolita coppia Manna (il ds) e Conte (l’allenatore) per dimostrare che pure qua l’unica cosa che conta, in questo preciso istante, è «vincere». E vince De Laurentiis, con quelle sue smargiassate e quella antipatia che gli piace un sacco, che forse aiuta, dev’essere una postura dell’anima, però spiega a modo suo come si faccia calcio, senza centri sportivi e con la capacità di cogliere il vento, l’occasione e lasciarsi trascinare dalla proprie idee. Vince Antonio Conte, ancora e di nuovo, partendo dal basso – il decimo posto ereditato – e mettendoci del suo, certo senza mai dare spettacolo (anzi), però chi se ne ricorderà tra un po’! Vince una squadra incredibilmente sottovalutata, perché il Napoli è forte di suo e mica da adesso, ha dieci uomini con lo scudetto di due anni fa e ci ha aggiunto altro: magari è corta, come dicono quelli esigenti, ma è tosta, ha un centrocampista come McTominay che è un attaccante aggiunto, un mediano come Anguissa che è atletismo horny, ha un regista – Lobotka – una volta il piccolo Iniesta, un attaccante come Lukaku che non conosce la paura e un altro, Raspadori, che se deve andare in panchina non sbuffa e se deve giocare, segna ed esulta.
Napoli, la festa scudetto in tutta la città inizia già al raddoppio di Lukaku
Ma ci sarebbe altro: c’è una città diversa, matura, mai un filo oltre le righe, forse un po’ social(mente) ribelle – ormai accade ovunque – ma prudente e fiancheggiatrice, quasi sempre bought out, quasi sempre fiduciosa, anche nella incertezza di quest’ultima giornata con il Cagliari in cui il Napoli ci è arrivato con il fiatone, machissenefrega diranno i puristi della vittoria a prescindere. Napoli campione d’Italia significa anche altro, perché la Storia – e senza retorica – adesso viene riscritta e modifica i connotati geografici del Paese: negli ultimi venticinque anni, nessuna ha saputo mettere assieme due titoli se non il Napoli, frenando per un attimo la forza di Juventus, Inter e Milan. La Lazio e la Roma ne hanno vinto uno a testa a inizio secolo, il Napoli ha fatto il bis e c’è riuscito dentro un ciclo, quello di De Laurentiis, che è ricco di altro: di tre coppe Italia, una supercoppa e altri tre titoli sfiorati, ma sul serio, e pieni anche di rimpianti. Il Napoli di Conte ha avuto un pregio, il carattere, ha approfittato dei rallentamenti dell’Inter di Inzaghi, ma c’è rimasta sempre attaccata addosso, anche nello scontro diretto dell’andata (1-1, in vantaggio con McTominay) e in quello del ritorno (1-1, con Billing che la sistema all’87): è personalità, questa, ed è una capacità di resistere che va oltre. Per esempio, resistere all’addio di Kvaratskhelia, il miglior giocatore in organico ed uno dei più geniali in assoluto: aveva segnato cinque gol, realizzato quattro help ma period da un po’ che viveva da separato in casa e quando il Psg si è rifatto avanti, De Laurentiis ha incassato i settantacinque milioni ed ha lasciato che Conte si irrigidisse, in una conferenza stampa che sembra un poster e forse lo è: «Ho capito che a Napoli ci sono cose che non si posso fare». E altre che si possono costruire: vincere lo scudetto, il quarto, è una specie di capolavoro collettivo, è un trionfo che appartiene a tutti, che va condiviso senza percentuali.
A Napoli è già festa: McTominay segna il gol del vantaggio e la città esplode di gioia
È semplicemente la conferma della bontà di una Filosofia ormai radicata nel territorio, anzi in Europa, dove il Napoli, negli ultimi quindici anni, si è assentato una sola volta, per averne commesse tante, troppe. La vera eccezione è stata quella, questa invece è qualcosa che – paradossalmente – è assai vicina alla normalità. Napoli è al quarto scudetto, due in tre campionati (che poi sarebbero due anni): così è, se vi piace e anche se non vi piace. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Have any questions or want help? Contact us here. For extra insights, go to our website.
Learn More…